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Alle ore 8 celebrò la S. Messa Mons. Rizzo; alle ore 9 celebrò Mons. Vescovo e distribuì la S. Comunione ai bambini che la ricevevano per la prima volta ed a numerosi altri fedeli; alle ore lo,30 la chiesa parrocchiale era già gremita di fedeli, in attesa della S. Messa solenne...
Il parroco (che scrive e testimonia queste note), nel dirigere in chiesa preghiere e canti, ad un certo punto ebbe a dire ai numerosi presenti: «Fra poco Mons. Vescovo, assistito da noialtri sacerdoti, celebrerà la S. Messa. Subito dopo, se smetterà di piovere, usciremo con la processione...». A queste parole notò sul volto di tutti i presenti sorrisi ed evidenti segni di incredulità, con scrollate di spalle e movimenti di teste in diniego.. Nella sua dabbenaggine (?), o nella sua semplice e profonda fede (!) volle aggiungere queste precise parole: «Sì, voi fate segni di non credermi, sta piovendo, avete ragione..., ma vedrete che la Madonna, se vuole, farà questo ed altro! ... Vedrete che faremo la processione! ». Fu celebrata la Messa solenne, fu tenuto il discorso da Mons. Vescovo; alla fine, verso le ore 12,30, il cielo dava qualche segno di schiarita, la pioggia era più mite, era diventata pioggerellina dolce... Si decise di uscire con la processione! Fu offerto un ombrello al parroco da Graziano Guiducci ed egli lo rifiutò decisamente: «Se piove, disse, vorrò bagnarmi, ma si bagnerà pure Lei! ...» ed indicò la statua della Madonna...
Quando si uscì sulla strada, pioggia non ce n’era più... La processione si svolse, per circa tre ore, in uno slancio di fede commossa che è difficilissimo descrivere, senza pioggia, con intermittenti apparizioni di sole, con tantissimi fedeli preganti, con la partecipazione del Vescovo, del clero, del Sindaco Mariano Melino col gonfalone comunale, del Maresciallo CC. Maiuri, dei carabinieri in alta uniforme, di tanti bambini biancovestiti.
E quando la processione rientrò in chiesa, la pioggia riprese a cadere ancora per qualche ora sul paese e sulle campagne...
Tutto questo avvenne il giorno della festa della Madonna di Anzano, il 7 giugno 1976; nessun commento, ma migliaia di testimoni a cui chiunque può chiedere conferma sulla autenticità del fatto stesso. Sarà stato pure un «caso»? Sì, perché no!
Ma assolutamente non è un caso per me, questo che desidero esporre in fine, a chiusura di questo lavoro; lo espongo - e lo giuro davanti a Dio e davanti agli uomini - solamente perché sia conosciuto ad onore ed in omaggio alla Madonna di Anzano e possa insieme far rifiorire, in quanti mi leggeranno e mi crederanno, fede e devozione oggi tanto necessarie.
Nel 1957, nel mese di aprile. mi ricoverai nella clinica «Villa del Sole» di Napoli e vi subii un difficile intervento chirurgico alla vescica da parte del prof. Sorrentino e della sua equipe; dopo sei mesi di duro calvario sul letto del dolore, potei rimettermi in piedi con l’assistenza fraterna, accurata, paziente, lunga, oltre che professionalmente perfetta, del dott. Pasquale Di Giorgio e potei riprendere in qualche modo le attività, anche se disturbato ancora da lancinanti dolori. Nuove visite, nuovi esami radiografici e la terribile sentenza: ancora ricovero, ancora intervento chirurgico per l’asportazione dall’interno della vescica d’un calcolo grosso quanto un uovo...
Trovai bontà e comprensione nel prof. Sorrentino e mi ricoverai d’urgenza nell’ospedale Cardarelli di Napoli (non avevo più un soldo per la clinica privata, chè il povero e caro papà aveva dato fondo a tutte le sue disponibilità, contraendo anche dei debiti, per il primo intervento) a metà febbraio del 1958. Fui sottoposto a nuovo intervento chirurgico da parte della stessa equipe medica del prof. Sorrentino. Passarono i mesi, due, tre, quattro..., ma la ferita sulla vescica non si chiudeva. E’ facile, pertanto, immaginare le condizioni del mio spirito, oltre che quelle del mio corpo, costretto a stare sempre disteso immobile, notte e giorno, giorni e mesi, nella stessa posizione supina...
Fisicamente, moralmente, economicamente (non mi vergogno a dire: qualche volta mi son mancate duecento lire per comprare le sigarette...), arrivai agli estremi della sopportabilità, raggiunsi i limiti della disperazione (nessuno si scandalizzi! ).
A vedere che tutti intorno a me, in ospedale, avevano un’assistenza, una cassa mutua, ed io che tutto avevo dato per la chiesa e per gli altri non avevo un soldo, un pur minimo aiuto, non vedevo vicino a me nessun superiore, nessun confratello; a pensare che avevo a casa una mamma ed un padre vecchi che si struggevano di lacrime per me, che si sarebbero cavati gli occhi per me, dopo avermi dato tutto quanto possedevano per soccorrermi; al constatare che quella ferita era sempre la stessa,