Pag 1
- Dettagli
L'istruzione pubblica ad Anzano
SIPONTINA PAPA
Nell'Europa del primo Ottocento si scontrarono due teorie scolastiche: una vedeva nella diffusione dell’istruzione un mezzo per diminuire la distanza tra le classi sociali, favorendo così anche lo sviluppo economico; l’altra sosteneva tutto il contrario, vale a dire si adoperava a tenere basso il livello di alfabetismo per non rompere il già instabile equilibrio sociale e per mantenere lo status quo economico. L’esito di questa battaglia politico-culturale dipendeva dall'intreccio di molteplici e concomitanti fattori, quali il retroterra economico e sociale dei singoli stati, Ie direttive politiche, lo stato generale della cultura, il ruolo degli intellettuali e il loro rapporto con i detentori del potere, da un lato, e le masse incolte, dall'altro. Influivano anche lo stato economico e la considerazione sociale di cui godeva o meno il corpo docente.
L'istruzione, in particolare quella primaria, è una variabile dipendente dalle condizioni socio economiche, ma a sua volta influenza queste, spesso in maniera determinante. Da questo punto di vista la situazione degli stati italiani preunitari differisce sotto molti aspetti da quella del Regno delle Due Sicilie. Si tratta di un processo notevolmente differenziato sul piano regionale, come dimostrano, tra l’altro, i diversi livelli di alfabetizzazione alle soglie dell’unità. La storiografia ha ampiamente sottolineato l'inadeguatezza del regime borbonico nel campo dell'istruzione popolare. Tuttavia la politica scolastica dei Borbone è conseguenza delle più generali scelte economiche e sociali, dovute anche agli orientamenti del ceto intellettuale meridionale. Difatti nel Regno delle Due Sicilie i ceti dirigenti non sentivano l'esigenza dell'istruzione popolare, anzi ne temevano fortemente i rischi in quanto essa avrebbe potuto elevare i livelli di coscienza, e con questi, lo spirito rivendicativo delle masse popolari, soprattutto contadine. Timori che le vicende del 1820-1821 e del 1848 acuirono enormemente. C’è dunque una parte non irrilevante del ceto intellettuale decisamente contraria a ogni forma d'istruzione popolare, di cui paventa le conseguenze sul piano degli equilibri sociali.
Nel 1808 Gioacchino Murat, nelle vesti di re di Napoli, scrive che ''non vi è occupazione di utile se di classe in classe non vi siano i gradi d'istruzione, che additano la buona scelta della fatica. Gli agricoltori, i negozianti, i possidenti, i militari;, i nobili, debbono essere istruiti, ma ciascuno in proporzione della propria classe", Di lì a qualche anno, Matteo Galdi, grande riformatore, pur auspicando l’alfabetizzazione popolare, mette in guardia dai rischi di un'istruzione uniforme: "le popolazioni non devono essere composte tutte da scienziati, altrimenti le arti di prima necessità non verrebbero in alcuna guisa esercitate e mancherebbe quella diversità di mestieri e di professioni che unisce gli uomini col vincolo de comuni bisogni, e costituisce l’ordine della società''. Giuseppe Bonaparte con il decreto del 15 agosto 1806,n.2 rese obbligatoria I ‘istruzione primaria per i fanciulli di ambedue i sessi e impose di mantenere in ogni luogo abitato un maestro per insegnare le prime nozioni e la dottrina cristiana ai fanciulli e una maestra per le fanciulle che oltre a leggere e a scrivere doveva insegnare a cucire e ricamare. A distanza di pochi anni Gioacchino Murat, subentrato a Giuseppe Napoleone, sul trono di Napoli, con decreto del 15 settembre 1811, getta le basi per la creazione di un solido sistema scolastico statale.
Con il metodo normale l'autorità politica mira ad un sistema d'istruzione comune a tutti i cittadini, gratuito, con un insegnamento che si avvalga di vari sussidi didattici e che consenta ad ogni scolaro di apprendere stessi contenuti nel medesimo tempo. L’istruzione pubblica, per carenza quantitativa e qualitativa di docenti laici, veniva impartita prevalentemente dal clero. La stessa cosa si verificò nel comune di Anzano dove l’insegnamento era affidato al parroco del paese, sebbene in precedenza tale incarico fosse svolto da un maestro laico che contemporaneamente svolgeva anche il lavoro di cancelliere comunale.
Con la Restaurazione borbonica furono indicati i criteri per la designazione degli insegnanti. Difatti, Ferdinando I, con il decreto n.545 del 16 febbraio 1823, dettò le regole per proporre alla sua approvazione il personale addetto all'istruzione pubblica. La condotta morale dell'istitutore era considerata di primaria importanza. Infatti il sindaco di Anzano, nel marzo del 1820, sospese il maestro della scuola primaria del paese, Ciriaco Rossi, per aver dato scandalo.
Con il decreto n.933 del 23 settembre 1823 lo stesso sovrano prescrive la pena alla quale sono soggetti coloro i quali aprono scuole senza permesso. L'articolo 1 recita: “Niuno potrà senza nostro real permesso aprire scuola per un insegnamento qualunque. I trasgressori verranno sottoposti alle pene di polizia uniformemente all'articolo 464 delle leggi penali". Un successivo decreto di Ferdinando II, del 10 gennaio 1843, affida l’istruzione primaria interamente ai vescovi nelle rispettive diocesi. Gli ordinari diocesani, pertanto, sono autorizzati a destinare i maestri o le maestre ad a sospenderli o rimuoverli dall’insegnamento se venivano meno ai loro doveri. Le scuole per i fanciulli erano di preferenza collocate nei conventi e nei monasteri, mentre per le fanciulle presso i conservatori. I maestri vengono mal pagati e vi sono pochi locali destinati ad uso di scuola pubblica.
L’istruzione popolare cresceva facilmente nelle città, lo stesso però non avveniva nei piccoli centri perché i giovani venivano destinati ai mestieri manuali. Leggiamo, infatti, in un documento del febbraio 1832 che l'Intendente di Capitanata chiede al sindaco di Anzano "di trovare a tutti i costi una maestra per erudire e civilizzare le fanciulle che lavorano nei capi; di cercarla con zelo perché la gioventù deve istruirsi". II sindaco risponde negativamente perché il comune non aveva i soldi per pagarla e che non tutte, fra le poche disponibili, risultavano esperte nel leggere e nello scrivere, pur avendo buone qualità morali e religiose. Dopo vari tentativi viene nominata come istitutrice per la scuola primaria la maestra Carolina Amarena con lo stipendio di dodici ducati. La stessa, tuttavia, deve superare prima un esame.
L'esame al quale dovevano sottoporsi i candidati insegnanti il più delle volte si riduceva ad una semplice formalità nella quale si doveva dimostrare di saper leggere, scrivere e possedere qualche nozione di aritmetica. I criteri di selezione si basavano più su considerazioni di ordine morale che sulle effettive capacità e sulla preparazione. Di qui nasce l'esigenza di creare e di diffondere una scuola di metodo magistrale la cui frequenza fosse obbligatoria per l’accesso alla professione di maestro. Tali disposizioni furono rafforzate con l’applicazione, nelle ex provincie napoletane, della legge Casati del 1859; i maestri dopo aver frequentato i corsi di una scuola normale e sostenuti gli esami finali conseguivano la "patente', ossia un diploma che permetteva loro di essere assunti nella scuola per mezzo di un concorso comunale o provinciale. Anche i candidati che si presentavano a sostenere gli esami a titolo privato dovevano dimostrare di possedere la medesima preparazione degli allievi del corso normale, In seguito il decreto legislativo 5 marzo 1861,n.278 limita I’esercizio della professione d'insegnante al personale munito di titolo specifico conseguito presso apposite scuole preparatorie per allievi maestri istituite nei capoluoghi di provincia.
La normativa immediatamente postunitaria in materia crea grossi problemi per quanto concerne la riqualificazione richiesta anche al personale insegnante già in servizio prima dell’anno 1860. Le maestre disertano le scuole preparatorie istituite nei capoluoghi adducendo motivazioni a volte valide: l’età, l'insicurezza delle strade, il pericolo dei briganti, le condizioni economiche disagiate. Il governo poco edotto sulla realtà delle province napoletane chiede spiegazioni e relazioni dettagliate alle autorità locali. Ignazio Centofanti, direttore della scuola normale preparatoria femminile di Foggia, nella sua relazione al Consiglio provinciale, espone la situazione dei diversi comuni della provincia e suggerisce misure e sanzioni per eliminare gli inconvenienti e permettere I ‘applicazione delle leggi. Chiarisce la grave condizione umana delle vecchie insegnanti: "queste maestre non ànno altro cespite a protrarre la loro infelice esistenza, che i pochi denari mensili, con cui comprano il pane, solo cibo cui sono abituate’’, e si lamenta per il mancato invio di allieve-maestre da parte dei comuni della provincia.
Nonostante tali difficoltà l'impegno del governo unitario in questo settore della vita pubblica fu notevole. I progressi sono rilevanti e si avvertono già nel primo decennio. In Capitanata nel 1860 ci sono solo 58 scuole pubbliche elementari di cui 36 maschili e 22 femminili mentre gli analfabeti sono 281.997 su una popolazione di 312.885 abitanti. La situazione risulta migliorata notevolmente nel 1870: le scuole primarie salgono a 504, esse erano istituite in tutti i comuni e ‘’vi s’insegnava la lettura e la scrittura, il catechismo di religione e dei doveri sociali e l’aritmetica elementare, nonché la grammatica italiana, gli avvisi di buone creanze del Galateo". Con la legge Coppino, del 15 luglio 1877, I’istruzione divenne obbligatoria fino all'età di nove anni, cioè fino alla frequenza del corso elementare inferiore. I genitori inadempienti venivano ammoniti e, se necessario, anche puniti con un’ammenda. L’applicazione della legge Casati e Coppino determinò un notevole declino dell'analfabetismo, ma è evidente che esse vanno viste in funzione dei tempi e che l’obbligo scolastico non può scaturire direttamente dalla legge, ma è piuttosto, una conseguenza del grado di sviluppo economico delle famiglie.
Altra necessità del governo unitario fu quella di combattere l’analfabetismo degli adulti, perché l’istruzione della scuola elementare doveva essere preceduta, accompagnata e avvalorata dall'educazione della famiglia. Molti furono i maestri che prestarono spontaneamente e gratuitamente la loro opera per l'alfabetizzazione degli adulti, spesso provvedendo personalmente ai locali e alle spese per l’arredamento. Furono create scuole serali e festive per favorire l'istruzione degli adulti e una norma del 22 aprile 1866 stabilì l’assegnazione di sussidi ai maestri che prestavano la loro opera in tali scuole.
A proposito delle vicende legate all’istruzione pubblica nel comune di Arzano, meritano menzione, tra l’altro, I’atività svolta nel 1948 dalla commissione tecnico-didattico-sanitaria per la scelta dell’area sulla quale costruire l'edificio scolastico. La scelta cadde su un suolo sito lungo la Via del Popolo occupato da ruderi di vecchi fabbricati distrutti dal terremoto nel 1930. Altra testimonianza sulle difficoltà di impartire l'istruzione elementare ai ragazzi di Anzano è data dalla corrispondenza diretta il 19 dicembre 1957 dal commissario prefettizio cittadino ai genitori degli alunni che non frequentano regolarmente le lezioni. Significative sono, infine, le attestazioni sull'esemplare insegnamento impartito dal maestro Antonio Pezza di Candela che giunse nel comune di Anzano nel 1930 dopo il terremoto del Volture. Non avendo una scuola per insegnare, si servì di baracche adibendole ad aule scolastiche. Si distinse per le sue iniziative, stando a stretto contatto con le famiglie dei suoi alunni e con la popolazione rurale interamente analfabeta.