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cittadini apprendevano la lieta novella della nascita di Gesù, della conquista di Gorizia oppure di Addis Abeba.
Era alquanto tozzo il campanile del mio paese, ma quanto era bello!
Chi non sa che in un paese di campagna il campanile vuol dire tutto, cioè la sintesi di ciò che si pensa, che si dice, che si desidera?
E’ nella Piazzetta antistante la Chiesa, all’ombra del campanile, che la gente si raduna a gruppetti per discorrere di affari, per scegliersi l’amorosa, per sussurrare a volte la maligna insinuazione su questo o su quell’altra.
E’ attraverso il campanile che audace svetta verso il Cielo, che le comunità colloquiano con gli angioli a mezzo del misterioso linguaggio delle campane; poiché, Spesso, si avverte il bisogno di superare gli uomini, di scaricarci delle nostre pene con chi dell’uomo ha residuato la santità, di invocare protezione ed aiuto da chi solo può aiutarci e proteggerci.
Al vecchio campanile è ormai legata la mia fanciullezza gaudente, la mia adolescenza speranzosa e promettente.
Din din, don … e la borsa a tracolla, quattro palle di neve e poi la scuola ove coscienziosi maestri ci insegnavano come bisogna cristianamente vivere.
Din din, don... e la mamma ci accompagnava alla Chiesa per ascoltare la S. Messa domenicale.
Per venti anni, venti lunghi anni seppur rifatta la Chiesa, la poesia della vita di paese è stata perduta per noi.
Chissà, forse, le nostre campane già sapevano innanzi tempo che la nostra Patria sarebbe stata travolta da un immenso ciclone e, perciò, un giorno, avrebbero suonato si, ma con un suono lugubre, con un suono di morte.
Ed hanno zittito significando così la loro partecipazione al nostro dolore.
Adesso che la bufera è passata, presto le campane riprenderanno il loro posto sul nuovo campanile - più bello del primo - per tornare a signoreggiare nell’aria che sarà nuovo pregna di quelle ondulazioni sonore che già fecero allegre le nostre infanzie.
E quando finalmente libere e sciolte le campane rifuse lanceranno agli uomini l’annunzio della Resurrezione, anche il paese sarà risorto a nuova vita ed i bimbi felici si aduneranno attorno al nostro giovane Parroco – artefice della opera – per dirgli con la voce della purezza e dell’innocenza il nostro bravo ed il nostro grazie.
Din, din, don ed i rintocchi questa volta raggiungeranno i connazionali lontani che hanno voluto ridare al paese natio la voce della vita, della verità, della poesia: Din din, don.
Anzano di Puglia, li 10 agosto 1948».
Rocco Iacoviello
So - ed ho finito! - di toccare infine un argomento delicato, ma sento di non potermi esimere da tanto: è l’obiet-tività storica che lo vuole ed io cercherò di ottemperarvi con tutta oggettività, senza entrare nei particolari, nè voler creare minimamente pettegolezzi.
Anzano, dicevo innanzi, ha fatto progressi immensi in questi ultimi trenta anni, non lo si riconosce più (viabilità interna e di circonvallazione, fognature, acquedotto, edificio scolastico, casa comunale maestosa, caserma carabinieri, Scuola Media, Piazzetta antistante il Municipio, piazzale G. Marconi, lavatoio pubblico, case-palazzine popolari, piante e fiori disseminati qua e là, villetta comunale sorgente sempre più bella, campo sportivo in via di realizzazione ecc. ecc.); di tutte queste opere, queste bellezze, va dato merito, senza dubbio, al Governo Centrale Democratico, ma in massima parte alle Amministrazioni locali Capi o Sindaci.
Voglio, perciò, dare merito ed omaggio:
- alla memoria di Rocco Iacoviello e di Armando Rossi, sindaci defunti;
- all’operosità del sindaco Euplio Iascone e dell’attuale sindaco dott. Mariano Melino, con l’augurio schietto, libero da ogni ambiguità, che si voglia continuare a realizzare sempre di più